domenica 25 ottobre 2009

Casa del vento: Articolo Uno

«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Lo conoscono anche i bambini delle scuole l’articolo 1 della nostra Costituzione. Ma sempre più adulti lo considerano un accessorio, un qualcosa di trascurabile, di relativa importanza.

E quelli della Casa del Vento non ci stanno. Il loro nuovo album in studio è completamente incentrato sulle attuali problematiche del lavoro in Italia: dalle tristi vicende della ThyssenKrupp, ricordate con incredibile sintesi in “7”, al frazionamento di un popolo che una volta lottava per difendere i propri diritti (“Primo maggio”), alle visioni realistiche di un momento storicamente difficile per i lavoratori nel nostro Paese (“Articolo Uno”).
leggi il resto su l'isola che non c'era http://www.lisolachenoncera.it/recensioni/?id=730

Kiss: Sonic Boom

Dopo trentacinque anni carriera si possono nutrire molti sentimenti nei confronti dei Kiss: simpatia, nel peggiore dei casi; rispetto, che va anche oltre i gusti soggettivi; ammirazione, per uno dei gruppi che ha maggiormente segnato la storia di questa musica.

Ma “Sonic Boom”, l’ultima produzione in studio di Paul Stanley e soci, proprio non riesce a convincere, in nessun senso lo si voglia intendere. Undici brani dove si respira la stessa aria fritta, composta da ritornelli ammiccanti, assoli di chitarra sparsi un po’ ovunque, inclinazioni buone per la sigla di una ipotetica serie tv, qualche caduta di stile prossima al pop più commerciale, e commercializzabile, possibile.

I nostri sembrano aver definitivamente perso quel mordente, quella scintilla interpretativa che in questo lavoro può essere lontanamente rintracciata nei brani di maggior spessore: “Russian Roulette” e “I’am an Animal”, seppur buoni, da soli non bastano per strappare un applauso che non va oltre la circostanza.

Quello che sulla carta poteva essere un ritorno in grande stile, altro non è che uno scialbo riempitivo di una carriera che ha conosciuto ben altri significati. Ammettiamolo: la frutta è servita.

venerdì 23 ottobre 2009

Syd Barrett: a little black book with my poems in

ricordo perfettamente il momento in cui ho letto sul televideo la notizia della morte di syd barrett. lo ricordo semplicemente perché mi è venuto da piangere. per la prima volta ho pianto per uno sconosciuto. il giorno dopo ho iniziato ad appuntare su dei post it le idee, i sentimenti, per un pezzo commemorativo. quando vincenzo martorella mi ha chiesto se volevo fare un pezzo per muz magazine, l'articolo era praticamente pronto per il numero di luglio 2006.

wish you were here
Uno strano scherzo del destino ha voluto che l’esibizione al “Summer Festival”di Lucca, tenuta lo scorso 12 luglio da Roger Waters (con ospite Nick Mason durante “Dark side of the moon”), si trasformasse in un inatteso e sofferto tributo a Syd Barrett.
La sua morte, annunciata proprio il pomeriggio precedente, traccia un segno marcato nell’affascinante storia dei Pink Floyd, e lascia un vuoto incolmabile carico di rimpianti.
Sono passati quaranta anni dagli esordi nell’underground londinese, e la genialità di Syd, che innescò un moto perpetuo all’interno del suo gruppo, ancora oggi si riflette nelle strutture sonore di un vasto panorama musicale, che continua ad idealizzare quelle intuizioni che hanno reso il pazzo diamante una figura decisiva della cultura psichedelica, e non solo. Un personaggio unico nel suo genere, del quale, quando c’è da stilare l’elenco dei più grandi di sempre, si parla raramente; ma senza di lui alcuni aspetti dell’arte musicale sarebbero sicuramente rimasti inesplorati o quantomeno rimandati.

interstellar overdrive
Il periodo barrettiano, all’interno dei Pink Floyd, è durato una manciata di singoli e praticamente un solo album, “The piper at the gates of dawn” (1967); contenitore ineguagliato di trovate e slanci fluorescenti, eletto da fans e critici come uno dei manifesti dell’intera scena psichedelica e totalmente partorito dalla mente di Syd. L’irregolarità espressa nella forma canzone, la particolare dilatazione di spazio e tempo, la circolarità del suono e l’apparente disordine nella concezione dei brani, rendono lo stile visionario di Barrett affascinante ed allo stesso tempo inquietante, testimonianza tangibile di una lucida follia, che sfociò, purtroppo, nel suo dramma personale. Pochi mesi gli sono bastati per dare un nome ed una forza alla sua creatura, un marchio di fabbrica indelebile che ha contraddistinto i Pink Floyd durante la loro lunga carriera, fatta di molte luci e poche ombre, di sogni e drammi, ma perennemente accompagnata dall’anima del loro leader. Le abitudini ed i suoi atteggiamenti sono finiti spesso nei testi della band, il suo sperimentalismo ha continuato a scorrere nelle armonie pinkfloydiane in modo più o meno esplicito, ma comunque sempre molto caratterizzante.

vegetable man, where are you?
La dieta a base di Mandrax ed acidi lisergici, non ha fatto altre che velocizzare il processo d’autodistruzione, che, a volte, ha assunto i tratti di una consapevolezza disarmante. Il carattere introverso e distante dai canoni della pop star lo ha portato, proprio quando la carriera era sul trampolino di lancio, al crollo mentale; imbrigliato in schemi e procedure dalle quali non si sarebbe mai riuscito a tirare fuori. Le scene mute durante gli shows televisivi del primo tour in america, la catatonica presenza nelle interviste, e soprattutto l’incapacità di portare avanti un discorso insieme agli altri componenti della band, spinsero il gruppo verso un primo utopistico momento di formazione a cinque, con l’aggiunta di David Gilmour, e successivamente all’estromissione definitiva di Syd. I tentativi generosi di una carriera solista (decisa principalmente dai discografici, che ritenevano inconcepibile la band senza Barrett), e gli sforzi produttivi proprio dei suoi ex colleghi, lasciano ai posteri due album anemici e svogliati, “The madcap laughs” e “Barrett” del 1970, dove si può ascoltare la sua voce indecisa e priva dell’usuale elettricità, in un contesto vagamente paradossale. Una prova estrema, e quasi dovuta a chi gli era intorno, ma che non ha fatto altro che mettere la parola fine ad una breve e controversa vicenda artistica. Di lui rimane l’immagine di quello sguardo, perennemente enigmatico, velato di tristezza e pieno di un’inarrestabile pazzia. La fuga da se stesso, la crisi esistenziale, il rifugio nella vita solitaria in campagna, lontana dalle luci accecanti della celebrità, sono la conferma del completo rifiuto della propria persona. Nascosto dagli sguardi della folla, nulla poteva sembrare pericoloso e niente poteva raggiungerlo, mentre tutto scorreva distante, continuando a vivere in quei luoghi sognanti descritti nelle sue fiabe surreali.

like black holes in the sky
I Floyd non hanno mai cessato di manifestare il loro affetto verso Barrett; a cominciare proprio da quel Roger Waters che sembra essere stato il promotore principale dell’accantonamento dalla band (vicenda mai troppo ufficializzata), che non ha mai mancato l’occasione, fin dal primo tour solista di Radio KAOS (1987), di ricordarlo attraverso la proiezione del filmato di “Arnold Layne”, e le immancabili dediche prima dell’attacco di “Shine on you crazy diamond”. Dal canto suo anche David Gilmour, amico d’infanzia e, di fatto, colui che ha preso il suo posto all’interno del gruppo, ha spesso trovato il modo si sottolinearne il profilo prettamente artistico e musicale, riproponendo ed arricchendo dei suoi brani, basti pensare alla splendida “Dominoes” targata 2002. Questi sono solo alcuni degli esempi recenti che hanno contribuito alla creazione della mitologia su di lui; alla sua sfuggente figura, a quegli occhi persi nel vuoto come buchi neri nel cielo, che portano dritti alla mente, al pensiero geniale ed astratto.

I’ll see you on the dark side of the moon
Syd Barrett scrisse, in maniera spiazzante, il suo inquietante testamento musicale nel testo di “Jugband blues”, il brano inserito alla fine di “Saucerful of secrets” (1968); frasi del tipo: “E’ molto cortese da parte vostra pensarmi qui, e vi sono molto obbligato per aver chiarito che io non sono qui”, lasciano oggi un eco agghiacciante sulla consapevolezza del proprio destino. Un uomo morto due volte, un personaggio che solo ora potrà prendere il suo meritato posto tra gli immensi nel firmamento, tra John Lennon e Jimi Hendrix ci piace pensare che nascerà una nuova fonte di luce… continua a brillare pazzo diamante!

mercoledì 21 ottobre 2009

Paolo Fresu: intervista

Una storia apparentemente normale

È veramente difficile tenere il discorso fermo su un unico punto quando dall’altra parte del telefono c’è Paolo Fresu, uno dei jazzisti italiani più apprezzati nel mondo, ma anche produttore artistico e - per dirla con le sue stesse parole - stimolatore culturale.Partiamo da “Think.”, il secondo capitolo musicale con Uri Caine arricchito dalla presenza dell’Alborada String quartet, e lasciamo che la corrente ci trascini fino a parlare delle collaborazioni in ambito pop, dei festival, ai nuovi orizzonti del disco per ECM e all’autobiografia in uscita questi giorni, insomma, fino a esaurimento scheda.

leggi l'intervista su rockaction.it

Pippo Pollina: intervista + recensione Fra due isole

“Fra due isole”, l’album dal vivo che celebra i primi venticinque anni di carriera di Pippo Pollina, è un lavoro stupendo. Questo perché, oltre a essere una raccolta sufficientemente esaustiva dei brani più convincenti firmati dal cantautore palermitano, presenta una tessitura musicale pregiata, dovuta alla partecipazione degli oltre settanta elementi dell'Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Zurigo.



leggi l'intervista a pippo pollina su l'isola che non c'era

giovedì 1 ottobre 2009

Settembre: recensioni jazz

Fabrizio Sferra Trio: Rooms







http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=4289
Primo album da leader per Fabrizio Sferra, batterista che insieme ai giovani - e già ben rodati - Francesco Ponticelli (contrabbasso) e Giovanni Guidi (pianoforte), forma una realtà fisicamente coriacea, con i piedi ben piantati nelle coordinate del piano-trio, ma mentalmente pronta a farci viaggiare, e pensare, con leggerezza e fantasia.

David Berkman Quartet: Live at the Smoke

Sono i migliori momenti scelti da cinque set registrati nell'estate 2006, allo Smoke Club di New York, a comporre il materiale di questo Live at Smoke del David Berkman Quartet. Nelle note di copertina è lo stesso pianista a descrivere la sua passione per i jazz-club come lo Smoke: luoghi magici, dove la musica prende corpo e si dipana attraverso la passione del pubblico, dando vita a un'alchimia elettrizzante e sempre diversa.

Jacam Manrycks: Labyrinth

Jacám Manricks costruisce il suo labirinto sonoro con la voglia di condurci attraverso un viaggio originale, certamente sofisticato e stimolante.

Trio di Roma: 33

Chissà se Danilo, Enzo e Roberto, tre ragazzi che molti anni fa si riunivano in casa per suonare e divertirsi, pensavano di poter diventare un giorno, rispettivamente: Rea, Pietropaoli e Gatto, ovvero tre pilastri della scena jazzistica nazionale, e non solo.
Antonello Sorrentino: Blog









http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=4327
S'intitola Blog l'esordio discografico dell'S.T. Quintet capitanato dal trombettista Antonello Sorrentino e, proprio come in una sorta di bacheca virtuale, racchiude una serie di argomenti musicali di diversa natura, commentati e sviluppati in maniera mai scontata.
Chis Pasin: Detour Ahead







Detour Ahead segna il ritorno sulle scene, e paradossalmente anche l'esordio come leader, di Chris Pasin, trombettista di Chicago che diversi anni fa preferì allontanarsi dalla carriera jazzistica per dedicarsi completamente alla famiglia. Scelta lodevole, anche se (vista dalla parte dell'ascoltatore) si è trattato di un peccato, dal momento che questa registrazione è un'autentica delizia.

The October trio + Brad Turner: Looks Like It’s Going to Snow




«Moods and Colours of a Vancouver Autumn». Sì, potrebbe essere questa frase, scritta tra le note di copertina da Greg Buium, a fotografare l'attitudine dell'October Trio. Potrebbe, appunto. Perché se da una parte il suono di Looks Like It's Going to Snow rispecchia i colori tenui di uno scenario nordico, limpido e malinconico, dall'altra mette in mostra una nutrita varietà di situazioni che fanno venir in mente tonalità più accese, vive.