martedì 27 aprile 2010

John Abercrombie Organ Trio: LIVE

Un pubblico non numerosissimo si congeda dalla Sala Petrassi dell'Auditorium con la piena consapevolezza d'aver assistito a un concerto di valore assoluto, prodotto da musicisti capaci di giungere a una sintesi - di stile, impostazione e concretezza - prossima alla perfezione.

Sul palco c'era stato, fino al termine di un sincero applauso, John Abercrombie e il suo Organ Trio. L'organo, quindi, come elemento attorno al quale ruota l'idea di questo originale progetto. Non un organo qualsiasi, ma l'Hammond - l'XK 3c nell'occasione -, strumento dal fascino impareggiabile che ha segnato, in maniera definitiva, un intero filone stilistico sia in ambito jazz che rock. E non solo, viene da dire, soprattutto dopo aver visto il giovane Jared Gold confrontarsi con i compagni di viaggio: Adam Nussbaum alla batteria e John Abercrombie.

Due autentici fuoriclasse. Il primo, rilassato e flessuoso, viaggia veloce sui suoi Zildjian come una pattinatrice su una lastra di ghiaccio sottile, senza sbagliare mai il dosaggio di tocchi precisi e, a volte, impercettibili. Ma anche, all'occorrenza, sciolto nel recuperare una bacchetta volata via in un solo di furiosa bellezza. Abercrombie, poi. Se ne resta seduto tutto il tempo. Sembrerebbe un turista stanco, sfuggito a una guida in giornata di grazia, se non fosse per come traduce sulla sei corde un'espressività tale da far scaturire un caleidoscopio di emozioni. Prendi la versione di "Timeless": intensa, scurissima in ogni misura e di un fascino clamoroso, che mette i brividi e ci fa dimenticare la diatriba al parcheggio con uno dei tanti fan di Samuele Bersani, on stage la stessa sera nella sala affianco.

Concerto da intenditori, ma anche da feticisti e un po' nostalgici, dal momento che diversi, compreso il vostro cronista, stazionano sotto il palco a fine performance per scrutare qualche particolare dell'Hammond, lasciato lì in bella mostra. Impressioni confermate da questo dialogo - origliato con malcelato interesse - di estrema sintesi: lui, un po' miope, riferendosi all'amplificatore: «lì, su quella scatola, c'è scritto Leslie? », lei: «sì caro», e lui, visibilmente compiaciuto: «ok, possiamo anche andare».

martedì 20 aprile 2010

Vincenzo Martorella: il Blues

Per il suo “Il Blues” lo studioso e critico musicale Vincenzo Martorella ha scelto un’impostazione lontana dalle consuetudini che caratterizzano - e spesso asfissiano - i libri dedicati ai generi musicali. Nelle 306 pagine non c’è traccia dell’ennesima discografia consigliata, tanto meno di un filo conduttore meramente cronologico, ma a guidare il lettore sui tratti peculiari del blues – dagli albori fino agli anni Trenta - è un’analisi professionale, e al contempo comprensibile, divisa in tre macro sezioni.
Nella prima parte sono messi in relazione gli eventi e le indagini che hanno portato gli storici a formulare delle ipotesi - qui non sempre confermate - sui natali del blues, una musica, soprattutto nel periodo pre-discografico, di natura frattale e, come ricorda Martorella, senza padri concretamente riconoscibili.
Una linea di condotta che nella seconda parte dà spazio alle forme del blues, al loro aspetto metrico ed esecutivo, e ai significati racchiusi nelle dodici battute. Alcuni capitoli sono dedicati a “cosa” raccontano e al “come” si esprimono i blues, e al loro rapporto con l’intera cultura afroamericana. Sono inoltre descritti i primi protagonisti di un folklore spontaneo e analizzate le costrizioni subite dal canone iniziale con l’avvento delle registrazioni discografiche.
L’ultima sezione si snoda attraverso le vite – spesso intrigate e ancor oggi fitte di mistero – dei principali interpreti del genere: da Bessie Smith a Robert Johnson, passando per Eddie “Son” House, Skip James, Charley Patton e molti altri.
Mappa fondamentale dunque, sia per chi ha voglia di mettersi alla scoperta di una radice musicale affascinante e decisiva per le sorti dell’intera popular music, ma anche per chi pensa di aver già fatto propri tutti i segreti, e le ragioni, di una musica infinita. Indispensabile.

lunedì 19 aprile 2010

2Pigeons: Land

Non è facile incasellare la cifra stilistica dei 2Pigeons, duo italo-albanese di stanza a Milano composto da Chiara Castello (voce e percussioni) e Kole Laca (piano, Rhodes, synth, effetti e cori). Si parte da un’ambientazione elettronica, con testi cantati in inglese – Chiara, per essere precisi, è italo-americana – e una propensione alle tipiche formulazioni pop.

Anche se in Land, il loro debutto sulla lunga distanza dopo l’omonimo EP del 2008, c’è molto di più: c’è la fantasia di un gruppo capace di osare. I ragazzi inseriscono a più riprese contrappunti strumentali che non t’aspetti, come il piano classicheggiante di I-Land, ma anche il sax impazzito di Michele Sambin nell’opener Biko, traccia spiazzante e multiforme; e si lanciano spesso senza paracadute nella libertà espressiva, come in Open Doors. Nelle nove tracce proposte si possono anche incontrare elementi di ballabilità (The River ne è l’esempio più lampante), atomi di drum & bass, rarefazioni bristoliane e una serie di influenze raccolte in molti anni di ascolto attento e sperimentazioni tese al futuro. Inoltre, la voce di Chiara riesce a “surfare” con disinvoltura in ogni brano, rivelandosi a conti fatti il vero elemento portante di Land.Menzione finale per Giulio Favero (ex-One Dimensional Man) che da dietro al mixer è riuscito ad amalgamare un calderone ribollente di elementi formali e stilistici. Ma d’altra parte, i due piccioni, non potevano scegliere un terzo elemento più appropriato.

sabato 17 aprile 2010

Piero Delle Monache: Welcome



È nato nel 1982 Piero Delle Monache, e appartiene a quella generazione di musicisti capaci di tradurre in personale attitudine una ricca quantità di informazioni, stilistiche e di impostazione, ottenute grazie allo studio intenso e alla immediata messa in pratica delle proprie possibilità.

Welcome è il suo primo lavoro con il proprio nome scritto in grande, e racchiude - nel breve volgere di sei brani stipati in poco meno di mezz'ora - un'ampia varietà di soluzioni formali.

Il saxofonista di Pescara si avvale della collaborazione di sidemen altrettanto giovani e preparati - tra i quali si distingue il chitarrista romano Francesco Diodati - pronti ad abbracciare una linea di condotta che spazia dalle melodie corpose e oscillanti di "Noir," impreziosita da un interludio delicatissimo del pianista Giovanni Ceccarelli, alle nostalgiche note di "Miramare," dove il leader sfoggia un timbro scuro e suadente, passando per i cambi di passo incalzanti della veloce "Tutto bene".

Chiude il cerchio la rivisitazione di "Miramare," affidata alle intuizioni elettroniche di Deli, il fratello del leader, che la trasforma in un pezzo vicino ai modi garbati tanto cari ai Gotan Project. Applausi.