Due album che hanno segnato una crescita tangibile: ora, con il terzo “Sushi & Coca”, non solo possiamo parlare di maturità raggiunta, ma di prova maiuscola sotto ogni aspetto. Qual è stato l’ingrediente che ha reso la vostra ricetta così irresistibile?Gio: La parola maturità mi fa paura, mi sa di lentezza e di poca istintività. Ricette non ce ne sono, c’è solo la voglia di superare i nostri stessi limiti e spingerci in territori ancora per noi inesplorati. Cerchiamo di alzare ogni volta l’asticella un po’ più su come dei saltatori in alto.“Sushi & Coca” vede l’ingresso in squadra del tastierista Paolo Pischedda. Perché, di volta in volta, si sta rendendo necessario l’inserimento di nuovi musicisti?Gio: non credo si tratti di necessità ma di opportunità. Quando hai la possibilità di lavorare con ottimi musicisti perché non approfittarne? E poi aggiungendo nuovi strumenti e teste pensanti in più il suono non può che evolversi e migliorare.
Le parole della title-track ti arrivano allo stomaco come un pugno ben assestato. Da dove nasce la necessità di denunciare lo schifo dilagante che sommerge Milano, come del resto anche le altre grandi città?Gio: nasce tutto dal fatto che ci vivo e comincio a conoscerla bene. Milano è una città molto sorprendente,nel bene e nel mele. Questa volta abbiamo deciso di mettere in risalto le sue parti più boriose e sadiche.
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Schivo e un po’ malvisto. Sono questi gli elementi sui quali si delinea la figura di ogni buon primo della classe che si rispetti. Ma Francesco Negro, affabile e spigliato, fa storia a sé. Da sempre il pianista di Maglie, classe ‘86, è considerato il migliore, l’enfant prodige, e fin da subito – a suggellare le intuizioni di chi l’ha praticamente visto nascere sullo strumento – sono arrivati premi e riconoscimenti in ambito nazionale. Abbagli, disco edito dalla sempre attenta Philology, segna in maniera decisiva il suo percorso, indirizzandolo verso un futuro interessante. Francesco dà fondo al proprio sapere musicale in otto brani originali che ne esaltano la pulizia del tocco, la capacità di sapersi adattare a diverse situazioni stilistiche e l’enorme bagaglio culturale già accumulato malgrado la giovane età.




Pur essendo un argomento già trattato, rimane praticamente impossibile non tornare a sottolineare le qualità vocali di Antony Hegarty. Il suo timbro -indefinibile e lontano dai codici convenzionali - marca in maniera decisiva i passaggi del nuovo "The Crying Light", album che si è fatto attendere, ma che ripaga la nostra pazienza regalandoci dieci brani drammaticamente delicati, scuri, bellissimi.
Se avete paura del buio, se restare soli in casa vi trasmette un po' di apprensione, non mettetevi ad ascoltare l'ep d'esordio dei bergamaschi Bancale. Se invece avete voglia di ascoltare un trio interessante votato alle sonorità scure, crude, essenziali, allora questi venti minuti potrebbero fare al caso vostro.